L’etichetta Caligola Records ha ormai superato i venti anni di attività, ricavandosi un posto stabile nel panorama italiano (Cojaniz, De Mattia, Marcello Tonolo, Bruonod, Botti, Fazzini, etc…), per la qualità delle sue produzioni e gli artisti coinvolti. Nata per valorizzare l’area del nord est, e i musicisti creativi del veneto in particolare, negli anni ha saputo proporre grandi nomi del jazz contemporaneo impegnati in produzioni originali (Anthony Braxton, su tutti). Tra le ultime uscite spicca quella di Giorgia Sallustio che propone un concept album dedicato a Bill Evans, un originale omaggio filtrato dalla sensibilità della cantante. Un modo fresco per accostarsi al lirismo di Evans, cambiando punto d’osservazione. Anche Nicola Dal Bo propone un angolo visuale nuovo per una formazione abbastanza ingessata nel jazz, quella dell’organ trio. Esce di scena la chitarra di rito ed entra in ruolo il sassofono di Nevio Zaninotto, mentre il terzo vertice è abilmente gestito dal batterista Luca Colussi. Siamo lontani dagli stereotipi del genere sia per il suono complessivo del gruppo che per scelta del repertorio. La maggior parte dei brani sono originali e il classico non arriva dal libro degli standard americani ma è Beethoven. E passiamo a un altro trio, quello che sta dietro lo slogan Jazz (R)evolution di Baba Sissoko, con Antonello Salis e Don Moye. Non dirò nulla sul peso specifico dei tre grandi artisti coinvolti, sul loro passato e sul comune confluire su un ritorno all’Africa mediato dall’influenza dell’Art Ensemble of Chicago. Quello che voglio sottolineare è la coesione che emerge da questo disco, registrato live. Coesione che nasce da una naturale empatia tra i musicisti che improvvisano con il cuore in mano e senza reti, lasciandosi guidare dalla musica e dal momento. Stati Uniti e Mali (i paesi di provenienza di Moye e Sissoko) trovano un terreno d’incontro nell’Europa mediterranea, rappresentata dalla fisarmonica e dal pianoforte di Antonello Salis. Proprio Salis, specialmente quando siede al pianoforte, pare una sorta di Cecil Taylor sardo e svolge il ruolo di collante, in un senso, diverso dal solito e straordinario. Lo si è visto molto bene nel recente concerto del Torino Jazz Festival, realizzato in duo da Salis/Sissoko. Il lirismo traboccante del musicista del Mali non è mai assecondato in modo facile e di maniera; ma il sabotaggio messo in atto da Salis sposta sempre l’asticella in alto (o di lato) e spinge la musica a fluire limpida. E quando il tutto si ricompone, in una musica tanto vera, scatta anche l’autentica, palpabile, commozione.
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